La macabra storia di un'interazione sociale patologica: la strage di Erba

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La macabra storia di un'interazione sociale patologica: la strage di Erba

Scienze Forensi Magazine | Il giornale delle Scienze Forensi
Pubblicato da Massimo Blanco e Micol Trombetta in Criminologia forense · Sabato 05 Gen 2019


Autori: dr. Massimo Blanco, dr.ssa Micol Trombetta
della Sezione Analisi Criminologiche e Psicologia Forense dell'Istituto di Scienze Forensi

1. La strage di Erba

1.1. Cronaca di un massacro
La strage di Erba è probabilmente uno dei “crimini più atroci nella storia del nostro Paese”, così come ha dichiarato Massimo Astori, il pubblico ministero che ha indagato per primo sui fatti di sangue avvenuti nella tranquilla cittadina di 16 mila abitanti della Brianza. Un delitto che ha segnato la coscienza dell’opinione pubblica negli anni successivi al giorno della strage, avvenuta nel 2006, e che ha continuato ad animare il dibattito mediatico, anche in tempi recenti, per quanto riguarda le vicende processuali.
È la sera dell’11 dicembre del 2006. In una piccola palazzina in condominio di una corte ristrutturata, denominata “Condominio del Ghiaccio” e situata in via Diaz, una zona residenziale di Erba in provincia di Como, quattro persone vengono uccise barbaramente a colpi di spranga e coltellate. Successivamente, gli assassini appiccano il fuoco nell’appartamento dove hanno consumato la strage. Le vittime sono Raffaella Castagna, trent’anni, volontaria in un centro di assistenza per persone disabili, il piccolo Youssef Marzouk di 2 anni, figlio di Raffaella, la madre di quest’ultima, Paola Galli, 60 anni, e la vicina di casa Valeria Cherubini, 55 anni. La follia omicida degli assassini si riversa anche su Mario Frigerio, 65 anni, marito della Cherubini, corso in soccorso della moglie e scampato miracolosamente alla morte nonostante un profondo taglio alla gola che non è stato letale per via di una malformazione congenita della carotide, che ha permesso all’uomo di non morire dissanguato. Alle 20,20 circa, alla vista del fumo, due vicini di casa, tra cui un vigile del fuoco volontario fuori servizio, salgono le scale della palazzina dirigendosi al primo piano dove era situato l’appartamento in fiamme. Trovano prima Mario Frigerio, riverso a terra, e lo allontanano dall’abitazione trascinandolo via per le caviglie verso una zona sicura del pianerottolo. La porta dell’appartamento avvolto dal fuoco è aperta e i due entrano senza indugio. Trovano immediatamente Raffaella Castagna distesa a terra ed esanime. Anch’essa viene trascinata per le caviglie sul pianerottolo. Frigerio, in fin di vita, con le poche forze rimastegli indica con il dito ai due soccorritori il piano di sopra dal quale provengono urla strazianti di una donna. Purtroppo, però, il fumo, che si sta propagando a dismisura al primo piano e su per le scale, ha già reso l’aria irrespirabile e i due devono desistere dall’intento di salire. Poco dopo arrivano i vigili del fuoco che spengono l’incendio e rinvengono i corpi senza vita del piccolo Youssef e della nonna materna Paola Galli. Al secondo piano viene trovato il cadavere di Valeria Cherubini, moglie del Frigerio. Quest’ultimo, nel frattempo, viene portato d’urgenza all’Ospedale Sant’Anna, in provincia di Como, dove sarà operato. Si risveglierà dall’anestesia dopo due giorni.
Gli accertamenti tecnici operati dagli investigatori della scientifica dei Carabinieri evidenziano che gli aggressori erano in due, di cui uno mancino, armati di due coltelli, uno a lama lunga e uno a lama corta, e di una spranga. Inizialmente le indagini si dirigono verso Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna e padre del piccolo Youssef, un tunisino di 26 anni con precedenti penali per spaccio di stupefacenti uscito dal carcere grazie all’indulto. Ma Marzouk, quel giorno, era ancora in Tunisia dai suoi genitori.
Emergono, invece, dei sospetti sui vicini di casa che abitano al piano terra, Angela Rosa Bazzi, che tutti chiamano Rosa, e Olindo Romano, due coniugi senza figli che assumono dei comportamenti anomali, primo tra tutti l’esibizione spontanea di uno scontrino del McDonald’s di Como quale alibi della loro assenza da Erba nel momento della strage. In realtà, i carabinieri avevano suonato al campanello della coppia semplicemente per domandare se avessero sentito rumori, senza chiedere nulla in merito alla loro presenza o meno nella palazzina negli orari in cui si era consumato l’atroce delitto. Ai carabinieri, però, sorgono altri sospetti nel momento del breve colloquio sull’uscio di casa dei Romano. Infatti, Olindo presenta un vasto ematoma al braccio e delle vistose escoriazioni alle mani. Rosa, invece, ha un cerotto su un dito dal quale si intravedono segni di sangue recenti.

1.2. La ricostruzione della “mattanza”
Il 9 gennaio 2007, in seguito ad un lungo interrogatorio, i coniugi Romano vengono arrestati in quanto fortemente sospettati in relazione ai fatti. Olindo viene indagato per omicidio plurimo aggravato, Rosa per favoreggiamento. I RIS, però, indicano che vi sarebbe un altro soggetto quale altro esecutore della strage, un soggetto mancino come lo è Rosa Bazzi. Due giorni dopo, l’11 gennaio 2007, i due confessano il delitto ai magistrati inquirenti Massimo Astori, Antonio Nalesso e Mariano Fadda. Una confessione, avvenuta separatamente e talmente ricca di particolari che, in alcuni punti, coincide perfettamente con i risultati degli esami autoptici eseguiti sulle vittime.
Rosa Bazzi riferisce agli inquirenti quanto segue: «È vero, ci pensavamo da tanto tempo. Non ne potevamo più da anni di quelli lì, non si poteva andare avanti. Siamo stati noi...»[1]. «Quella sera volevamo solo dare una bella lezione a quella del piano di sopra. Eravamo stanchi della maleducazione sua e dei suoi parenti ed amici. Odiavamo anche suo padre, Carlo Castagna»[2].
Sono le 19,50 dell’11 dicembre 2006 e i coniugi Romano, pronti ad entrare in azione, indossano dei guanti per non lasciare impronte. Qualche ora prima, Olindo pare avesse già staccato la corrente elettrica che alimenta casa Castagna[3]. Rosa sale su al primo piano della palazzina e bussa alla porta di Raffaella Castagna. La scusa per farsi aprire è quella di parlare di un processo penale in corso[4], nato da una querela per aggressione sporta da Raffaella nei confronti di Rosa. Olindo attende sulle scale con il cric del suo camper[5]. Quando Raffaella apre la porta, Olindo come una furia si avventa sulla donna e la colpisce sulla testa con violenza. Raffaella cade a terra e Olindo si avventa immediatamente contro Paola Galli, la madre, colpendo violentemente anche lei sul capo. Una volta che le vittime sono a terra, esanimi, Olindo e Rosa si accaniscono su di loro con i coltelli. Raffaella riceve dodici coltellate anche se, il referto autoptico, dirà che il colpo alla testa è stato quello fatale. Mentre Olindo si assicura che le vittime siano morte, Rosa corre nell’altra camera dove c’era il piccolo Youssef. «Mentre mio marito era di là con loro due io ho ammazzato il bambino. L’ho ucciso con una coltellata, alla gola» ha confessato agli inquirenti Rosa Bazzi. Il bimbo aveva delle ferite da taglio al braccio, segno evidente che la povera creatura ha cercato in qualche modo di difendersi dal mostro che aveva appena massacrato la sua mamma e la sua nonna e che, in quell’istante, voleva prendersi anche la sua innocente vita. Nel frattempo, i coniugi Frigerio, Valeria Cherubini e Mario, che abitano al piano superiore, hanno appena finito di cenare. La Cherubini vorrebbe scendere per portare fuori il cane, ma il marito le consiglia di attendere che il “solito baccano” proveniente dal piano di sotto termini. Infatti, non erano infrequenti le grida provenienti dall’appartamento di Raffaella Castagna. Grida dovute ai frequenti litigi tra lei e il compagno Azouz Marzouk, connotati anche da violenza fisica tra i due, ai quali tutti i residenti della palazzina erano abituati, tanto è che nessuno, in quell’occasione, si è minimamente allarmato.
Sono le 20 e il “primo atto” del massacro è terminato. La calma nel Condominio del Ghiaccio è tornata. In realtà, i coniugi Romano stanno silenziosamente procedendo nel loro diabolico piano, raccattando tutto ciò che può facilmente essere incendiato. Volevano cancellare qualsiasi prova in quell’appartamento divenuto un mattatoio di esseri umani. Valeria Cherubini, fidandosi di quella calma apparente, esce di casa per portare fuori il cane. Questione di qualche minuto e la donna rientra nella palazzina. Nel frattempo, Olindo e Rosa appiccano il fuoco, cominciando dagli abiti di Raffaella Castagna. Sono circa le 20.15. In questo istante inizia a delinearsi anche l’atroce destino di Valeria Cherubini. «Mentre stavamo uscendo si è sentito il rumore di qualcuno che arrivava dalle scale» racconta, nella sua confessione, Olindo Romano. La Cherubini vede del fumo uscire dall’abitazione dei Castagna. Si affretta a salire le scale per andare nel suo appartamento al secondo piano ad avvisare il marito Mario Frigerio. Quest’ultimo scende al piano sottostante per verificare quanto stava succedendo. La Bazzi e il Romano attendono alcuni istanti all’interno dell’appartamento aspettando la loro prossima vittima “non prevista”. Olindo apre la porta di scatto e si trova davanti Frigerio. Lo colpisce scaraventandolo a terra. Frigerio è riverso al suolo e Olindo, con una coltellata, gli taglia la gola. Valeria Cherubini si mette a urlare, cerca di risalire le scale per trovare rifugio nel suo appartamento ma viene raggiunta da Olindo e Rosa che la uccidono a coltellate. Il fuoco avanza e i coniugi Romano devono fare in fretta anche se, nel frattempo, stanno arrivando i vigili del fuoco e le ambulanze. Percorrono a ritroso circa quindici metri per andare nel loro garage senza essere notati. Si cambiano, si lavano e mettono gli abiti sporchi e le armi in un sacco della spazzatura. Poi, ancora senza esser visti da nessuno, si mettono a bordo della loro Seat Arosa grigia e partono alla volta di Como per gettare il sacco e crearsi un alibi. Olindo, che lavora come netturbino, conosce bene i “giri” che fa l’immondizia, pertanto sa già dove gettare tutte le prove: un cassonetto che viene svuotato ogni giorno di buon mattino da un camion dotato di compattatore, il quale porta il suo contenuto direttamente ad un inceneritore della nettezza urbana. Dopo aver gettato il sacco, i Romano cenano presso un McDonald’s di Como conservando con la massima cura il loro “alibi”, lo scontrino[6]. Otto euro e venticinque centesimi di cena a base di gamberi e bacon acquistata alle 21,37, poco più di un’ora dopo l’assassinio dell’ultima vittima[7] [8].

1.3. Le prime confessioni di Rosa e Olindo
Il 9 e 10 e gennaio 2007, Rosa Bazzi e Olindo Romano, già in stato di arresto dal 9 gennaio, vengono interrogati separatamente dagli inquirenti che hanno già capito chi è, dei due, l’elemento “debole” della coppia. Infatti, come si evince da un’intercettazione ambientale del 10 gennaio 2007, Olindo, dopo il secondo interrogatorio con gli inquirenti, sembra si sia convinto a raccontare la “verità” e a convincere Rosa a fare altrettanto. Ma quale verità? Di seguito lo stralcio dell’intercettazione effettuata dai Carabinieri[9] durante l’incontro che è stato concesso ai due dopo il secondo interrogatorio dell’uomo:
  • Olindo: Ascolta...
  • Rosa: Si?
  • Olindo: Ho parlato con il magistrato.
  • Rosa: Eh.
  • Olindo: Lui mi ha detto che se vogliamo far finire questa storia qui...
  • Rosa: Sì???
  • Olindo: ...di dire la verità.
  • Rosa: Ma non c’è niente da dire...
  • Olindo: Lui mi ha detto così. Io ho pensato... Ho pensato questo...
  • Rosa: Non c’è niente, Olli, è tutto stato... Una cosa che hanno... Hanno fatto tutto loro, ancora adesso torno a ripeterglielo, glielo ho detto cento volte.
  • Olindo: Loro mi hanno spiegato la situazione in termini pratici...
  • Rosa: Ho capito...
  • Olindo: Mi ha spiegato e mi ha detto che... Loro ci tengono qui perché devono fare ancora delle indagini...
  • Rosa: Sì.
  • Olindo: Se per disgrazia trovano qualcosa, ti processano e ti danno l’ergastolo. Se invece confessi, hai le attenuanti e il rito abbreviato. Dici la verità, che la moglie non c’entra niente ti ha fatto solo l’alibi ecc., ecc... E non becchi niente...
  • Rosa: Ma non è vero, Olli.
  • Olindo: E io becco le attenuanti e finisce tutta la storia.
  • Rosa: Non è vero Olli... Non è vero...
  • (...)
  • Olindo: E non... Non so. O se continuare così... Lasciare fare quello che devono fare... E dopo prendere poi quello che si prende... E se non si dice... Si fa la confessione...
  • Rosa: Ma che cosa c’è da confessare... Non siamo stati noi...
  • Olindo: Lo so aspetta... Per tagliare le gambe al toro... Metti che sono stato io...
  • Rosa: Ma quando sei andato su?
  • Olindo: Non lo so.
  • Rosa: Dimmi quando sei andato su???
  • Olindo: Lo so Rosa, ma è per far finire questa storia qui...
  • Rosa: Ma perché devi dire che non è??? Non è vero niente Olli. Sai che non è vero niente tutta questa cosa... Ancora adesso io lo dico... E torno sempre a ripetere... Ti pesa così tanto?
  • Olindo: Stare dentro sì.
  • Rosa: Cosa vuoi fare?
  • Olindo: Non lo so. Se facciamo così prendiamo anche dei benefici e ce ne andiamo a casa.
  • Rosa: Ma cosa vado a fare Olli? Vuoi che esco di qua e mi butto sotto un treno?
  • (...)

Il 10 gennaio 2007, probabilmente dietro la spinta delle parole proferite da Olindo nel colloquio avvenuto poche ore prima, Rosa decide di auto accusarsi. L’interrogatorio inizia alle ore 15,25: «Intendo rendere piena confessione, ho fatto tutto da sola, mio marito non c’entra nulla. Da tempo ero esasperata. Ci hanno reso la vita impossibile con i loro furiosi litigi, rumori e la vita disordinata. Poi lui un po' mi faceva paura, mi minacciava e mi molestava in continuazione con ripetute irrisioni sue e dei suoi amici. Più di una volta mi dissero con tono insolente che mi avrebbero scopata. Lui a volte veniva a sbottonarsi i pantaloni in modo osceno davanti alla mia finestra. Nel sottopasso del garage mi aveva minacciato più di una volta con un coltello. Ho riferito questo episodio a mio marito il quale diceva sempre che prima o poi gli avrebbe spaccato la faccia. Questo mi ha fatto star male. Soffro di un insopportabile mal di testa». Questa è la prima versione in assoluto[10] della confessione di Rosa Bazzi in cui la donna si assume la responsabilità della strage. Rosa, subito dopo, racconta quanto segue: «A un certo punto ero fuori dalla corte a sistemare cose di casa quando ho visto arrivare Raffaella da sola a piedi, entrare a casa sua. Improvvisamente ho deciso di raggiungerla sul pianerottolo. L’appartamento era buio, credo che fosse uscita perché l’appartamento era buio. Io avevo staccato il suo contatore. Sono entrata portando con me un coltello da cucina e un arnese in ferro prelevato da mio marito da una discarica. L’avevo tenuto e pensavo di usarlo per il giardinaggio. Ho fatto tutto io. Mio marito era a casa, forse assopito. È arrivato dopo, quando stava bruciando la casa. Ammetto che però mio marito mi ha aiutato per l’incendio. Abbiamo ammucchiato un po' di libri e di cose infiammabili e abbiamo dato fuoco. Dopo i fatti ci siamo liberati degli abiti sporchi, delle scarpe e delle armi. La macchia quella sera è sempre stata lì, contrariamente a quanto dichiarato da altri. Abbiamo buttato tutto in un cassonetto poco vicino al nostro condominio. Ci siamo disfatti del sacco»[11]. Olindo, quindi, secondo questa prima ricostruzione di Rosa Bazzi, ha avuto un ruolo marginale nella vicenda. Ne emerge che entrambi stanno facendo di tutto per proteggere l’altro. Olindo, prima, come si evince dall’intercettazione ambientale, riferisce a Rosa di voler confessare e assumersi tutte le responsabilità del delitto. Rosa, in seguito, decide di fare altrettanto rendendo “piena confessione” delle uccisioni compiute come si rileva dal riassunto dell’interrogatorio di cui sopra.
Alle 16,00, sempre del 10 gennaio 2007, comincia anche un nuovo interrogatorio di Olindo. L’uomo viene informato dagli inquirenti che la moglie si è dichiarata colpevole e che ha confessato. Nell’occasione, a Olindo vengono altresì fatti ascoltare due minuti salienti della confessione di Rosa. L’uomo continua a ripetere che la moglie non c’entra nulla e che ha fatto tutto da solo. Giura di voler raccontare la verità e di essere disposto a pagare tutto quel che deve per quel che ha fatto, purché gli sia consentito di continuare a vedere la sua adorata compagna (questo ultimo aspetto sarà ripreso nell’analisi della relazione esistente tra Olindo Romano e Rosa Bazzi dal punto di vista criminologico). Il racconto dei fatti da parte di Olindo è confuso così come è stata confusa la ricostruzione di Rosa nell’interrogatorio precedente. Ad ogni modo, il destino dei due coniugi si delinea quando, nel corso del secondo interrogatorio di Rosa del 10 gennaio 2007, la donna fornisce una versione diversa dei fatti, includendo Olindo quale parte attiva “alla pari” nella strage. Da quel che emerge dalle registrazioni degli interrogatori, Rosa viene messa alle strette dopo che gli inquirenti le leggono quanto raccontato da Olindo nell’ultimo suo interrogatorio[12].
Le vicende processuali della strage di Erba sono state ricche di confessioni, ritrattazioni, colpi di scena processuali, elementi che non quadrano ecc. Oggi, Olindo Romano e Rosa Bazzi stanno scontando la pena dell’ergastolo rispettivamente nelle carceri di Opera e di Bollate. Hanno il permesso di incontrarsi una volta ogni quindici giorni. Mario Frigerio, il supertestimone, unico sopravvissuto alla strage che ha riconosciuto in Olindo la persona che ha tentato di ucciderlo[13], è morto dopo una lunga malattia nella notte tra il 15 e il 16 settembre 2014[14]. Sempre nel 2014, i difensori dei Romano affermano di avere nuovi elementi che permetterebbero la riapertura del caso e presentano un’istanza alle procure di Como e Brescia affinché siano eseguiti nuovi accertamenti. Le procure in questione si dichiarano incompetenti. Ad aprile del 2017 la Corte di Cassazione ammette al riesame alcuni dei nuovi elementi di prova. Nel mese di novembre 2017, la Corte d’Appello di Brescia concede di procedere a nuove analisi dei reperti ma, il 30 gennaio 2018, dichiara inammissibile l’incidente probatorio con le seguenti motivazioni: "La richiesta di incidente probatorio deve ritenersi funzionale a una, seppure futura ed eventuale, richiesta di revisione. Tale richiesta deve essere, seppur in astratto, rigorosamente orientata e in grado di scardinare le prove già acquisite e che hanno costituito il giudicato. In altri termini, la richiesta di incidente probatorio deve avere un'astratta potenzialità distruttiva del giudicato con il quale si deve in qualche modo confrontare". Altrimenti, è il ragionamento dei giudici, sarebbe consentita "una ricerca indiscriminata della nuova prova funzionale alla revisione senza alcun vaglio"[15].


2. Criminali o malati?

2.1. Chi sono Rosa Bazzi e Olindo Romano?
Rosa Bazzi nasce il 12 settembre 1963 e cresce in un quartiere periferico di Erba. È la terza di tre sorelle. Il padre è operaio e la madre casalinga. La piccola Rosa studia poco ma parla moltissimo con tutti, anche con le bambole e coi personaggi che disegna e che inventa. Racconta un sacco di storie e bugie. È mancina e soffre di asma. Speso i bambini la prendono in giro. Lei non è forte ma ha nervi saldi e coraggio, così li mette tutti al loro posto. Finita la quinta elementare non vuole più andare a scuola. Divenuta abbastanza grande, comincia a fare le pulizie a ore. Poi si sposa con Olindo. La madre di Rosa: «Ha sposato un poco di buono, perché anche lei era così, una persona piena di veleno» (Corrias, 2007).
Siamo nel 2006: Rosa Bazzi è una donna puntuale e operosa, che vive per la sua casa. Anzi, Rosa “è la sua casa”. Settantacinque metri quadrati in cui il ritmo deve essere sempre uguale, senza intoppi, senza rumore e dove l’ordine e la pulizia regnano sovrani. Dopo l’arresto, un vicino di casa racconta che, all’alba di ogni giorno, Rosa usciva nella corte con il marito. Lui andava al lavoro, lei faceva i lavori di casa prima di andare a farli in casa di altri. Per via del fisico compatto e per la sua instancabilità, i vicini la chiamavano “il carrarmato”. Rosa faceva sacrifici enormi e dedicava anima e corpo alla propria casa che era tenuta come un santuario. Nessun amico, nessuna frequentazione. I due coniugi si bastavano e non serviva nient’altro. Avevano ancora il mutuo da pagare. Il televisore al plasma lo vedevano solo nel pomeriggio e il loro camper lo usavano solo per brevi gite a pochi chilometri da casa “così non si consumava”. «Era così pulito da sembrare fresco di concessionaria. Lo pulivano ogni giorno, come se fosse il loro bambino» ha raccontato un vicino. Un figlio, in realtà, lo hanno cercato, ma è andata male per due volte: una gravidanza extrauterina e un’altra non portata a termine. Non si poteva parlare con Rosa dell’argomento “bambini” e, tanto meno, delle sue gravidanze andate male. I bambini, poi, non erano ben visti dalla donna, soprattutto quelli piccoli e “rumorosi”. Ogni vicino si ricorda di lei che spinge via il piccolo Youssef che si avvicina troppo al camper con la sua bicicletta. Lei che sale a bussare perché “quel bambino non fa altro che strillare”. Un testimone di nozze di Raffaella Castagna, racconta che, per eliminare i rumori, il padre della donna aveva fatto installare un pavimento in cotto fiorentino alto una spanna, ma anche questo non bastava. Raffaella chiedeva agli ospiti di togliere le scarpe e si raccomandava di non muovere le sedie, ma Rosa saliva lo stesso a lamentarsi e ad insultare.
Rosa, fuori da casa, era una donna simpatica. Ma quando rientrava nel suo “fortino” di via Diaz, diventava un despota che si rivolgeva ai vicini con parole velenose. Ne aveva sempre per tutti, tanto è che le avevano affibbiato il nomignolo di “Isterichina”. Dovunque si sia trovata, Rosa ha avuto sempre un atteggiamento rigido e inflessibile. Quando viveva a Canzo con sua madre, erano grane continue con i vicini.
Nei giorni successivi alla strage, Rosa era cambiata. Tutti, all’esterno della corte di via Diaz, nelle sue brevi uscite tra supermarket e pizzeria da asporto, avevano notato un certo buonumore nonostante la carneficina che si era consumata a pochi metri dalla sua casa. «Meno male che eravamo in pizzeria, altrimenti se venivano a sapere della causa che avevamo con loro, tiravano in mezzo noi» aveva detto sorridendo ad una amica. Era diventata più gentile. «Quando non ci saremo più, vi ricorderete di una vicina di casa come me» aveva detto a Mohamad, un vicino di casa siriano. Con i giornalisti ciondolava con la testa e ricordava il bambino. «Vivace, ma bello, mi piaceva averlo intorno» aveva detto. «Come faccio a sapere chi è l’assassino? Non so neanche chi è l’amante di mio marito». Suonava fuori luogo quell’euforia. Ma era sincera. Quella era una donna felice. La casa era diventata di nuovo pulita, tutto in ordine. Rosa aveva fatto le “pulizie”[16].
Olindo Romano nasce ad Albaredo per San Marco (Sondrio) il 10 febbraio 1962. Dopo aver lavorato per anni come autista di mezzi pesanti, nel 1996 entra in servizio come netturbino alla Econord S.p.A., azienda di raccolta e smaltimento dei rifiuti. I colleghi di lavoro raccontano che Olindo si faceva sempre gli affari suoi ma non disdegnava di scherzare con loro. Lo descrivono come un “bonaccione”. A ridosso di quell’11 dicembre, si era preso qualche giorno di ferie “per riposare”. Uno si ricorda che una volta aveva commentato così la strage di Erba: «Proprio non riesco a immaginare chi ha potuto fare una cosa del genere»[17].
Olindo e Rosa, appena sposati, vanno a vivere a Proserpio, un paesino di novecento anime in cui era cresciuto l’uomo. Un amore, il loro, che era diventato immediatamente un “patto contro gli altri”. Prima dell’arrivo di Rosa, Olindo, che in paese di faceva chiamare sin da piccolo Carmine, era un ragazzo come tanti altri. Gli piaceva giocare a pallone in piazza, davanti alla chiesa di San Rocco. Primogenito di quattro fratelli, si sentiva diverso da loro perché i genitori, quando lui nacque, non erano ancora sposati. Il padre, deceduto qualche anno prima, aveva avuto una vita difficile: operaio frontaliere, partiva il lunedì mattina e tornava il sabato. I quattro bambini, Olindo, Piero, Lino e Agata li ha tirati su mamma Piera. Olindo, da poco sposato, ad un certo punto rivendica parte della casa dove vivono, in appartamenti diversi, i fratelli. Dice che l’aveva fatta anche lui. Il litigio arriva fino alla piazza. Da allora, per i suoi familiari, Olindo sparisce. Piera, l’anziana madre di Olindo, racconta ai giornali: «Mio figlio è innocente. È in carcere per colpa di Bazzi Rosa. Era lei che comandava. Tutte le vigliaccherie che poteva fare, le ha fatte. Se mi viene sotto Bazzi Rosa io l’ammazzo. (…) La madre (di Rosa) era una vipera, velenosa come l’aspis. Il padre era un grande ubriacone…»[18].

2.2. Coppie criminali e “folie à deux”
Dal giorno in cui si sono delineate le responsabilità dei fatti di Erba, quanto meno da un punto di vista processuale, criminologi, psichiatri e psicologi hanno iniziato ad interrogarsi sulle possibili cause che hanno portato due persone dalla vita ordinaria e senza particolari problemi di natura economica, a premeditare un delitto di siffatta crudeltà. Di fatto, Olindo e Rosa sono entrati a pieno titolo in quella categoria di assassini che vengono definiti, in gergo, coppia criminale.
Il fenomeno della coppia criminale è abbastanza raro in quanto la maggioranza dei crimini vengono ideati e commessi da singoli soggetti che possono coinvolgerne altri in modo casuale. Naturalmente, in questo contesto sono da escludersi criminali organizzati, cioè soggetti dediti ad attività illecite come rapine, estorsioni, spaccio di stupefacenti ecc. Qui parliamo di assassini che agiscono spinti da moventi assai particolari, i quali non necessariamente instaurano tra loro il legame tipico della coppia criminale di cui si parlerà tra poco.
Come sopra rappresentato, il fenomeno della coppia criminale è poco comune ma in letteratura possiamo ritrovare diversi esempi di coppia criminale che portano a pensare, per via del tipo di relazione intercorrente tra i due componenti, dei moventi e della ferocia con cui è stato commesso il crimine, che si tratti di qualcosa che sfugge all’umana comprensione e che debba essere messo unicamente nelle mani della criminologia e della psichiatria. Alcuni fulgidi esempi di coppie criminali dei nostri giorni e del nostro Paese, oltre a Olindo Romano e Rosa Bazzi, sono stati Erika De Nardo e Mauro “Omar” Favaro (delitto di Novi Ligure), Alexander Boettcher e Martina Levato (coppia dell’acido), il medico di pronto soccorso Leonardo Cazzaniga (l’angelo della morte) e l’infermiera Laura Taroni. Vendetta, odio, perversione, denaro: possono essere diversi i moventi che spingono la coppia criminale ad agire. Oltre l’esaltazione del loro esclusivissimo rapporto e la forte dipendenza psicologica, troviamo in queste coppie qualcosa di terribile che sfugge a qualsiasi tipo di interpretazione razionale.
Il fenomeno delle coppie criminali è stato studiato molto poco. Il primo ad occuparsene fattivamente è stato Scipio Sighele (1868-1913)[19], sociologo e criminologo italiano che, nella terza edizione della sua opera “La coppia criminale” pubblicata nel 1909[20], suddivise le coppie criminali come segue:
  1. gli amanti assassini: in questi casi, come facilmente si intende, è la suggestione d'amore che ha una grandissima parte. Spesso un amante può spingere l'altro al delitto. Dei due amanti, l'uno è un perverso e l'altro un debole, per cui questi diventa strumento dell'altro. Il legame che unisce l'incube al succube è l'amore sessuale nelle sue forme colpevoli o patologiche, e il delitto commesso ha sempre la sua origine, o per lo meno una delle sue cause, in questo amore, sia che sia vicendevole e corrisposto, sia che parta da uno degli amanti e sia dall'altro semplicemente subito. Spesso due amanti si associano per passione d'amore, ma molto spesso due amanti si associano per motivi più turpi e più antisociali, ad esempio per cupidigia;
  2. la coppia infanticida: il cui delitto che nasce come conseguenza spontanea, se non necessaria, dall'amore illecito. Tutto ruota intorno alla prova della colpa che occorre fare scomparire; è il bambino - il quale, uscendo alla vita, accusa la madre - che bisogna sopprimere. L'infanticidio è il delitto specifico delle campagne e delle classi meno colte, che non hanno la furberia di sostituirlo con l'aborto; sono casi in cui si potrebbe quasi dire che la responsabilità del delitto ricade intera su uno solo dei due individui che compongono la coppia criminale, giacché l'altro non fa che prestare - costretto - il suo aiuto incosciente e meccanico;
  3. la coppia familiare: è assai facile che ove in una famiglia vi sia, vicino a un malvagio, un individuo di scarso senso morale, il primo sappia corrompere il secondo. La dimestichezza e la vita in comune sono condizioni favorevolissime al sorgere e allo svilupparsi di una suggestione criminosa. In questi delitti familiari, in cui lo scopo è quasi sempre quello del lucro, in cui non c'è quasi mai una scintilla di una passione meno turpe che possa gettare sui colpevoli almeno una pallida scusa, più che l'incontro di un perverso e di un debole e la corruzione lenta di questo per opera di quello, avviene l'incontro di due perversi che non hanno bisogno di molto tempo per intendersi e per associarsi. Certamente esiste anche fra di essi un rapporto di dipendenza e l'uno agisce per impulso dell'altro, ma le singole parti non sono così diverse e così distinte come in altri casi. Non mancano tuttavia dei casi in cui l'influenza suggestiva dell'uno sull'altro è - anche nella coppia familiare - assai più intensa e in cui si ritrovano veramente coi loro caratteri spiccati i due tipi dell'incube e del succube;
  4. la coppia di amici: sorge, per lo più, nell'ambiente del carcere o in quelle taverne ove si riuniscono, insieme ai delinquenti, i vagabondi, gli spostati e gli oziosi, tutti i candidati, insomma, che attendono di prendere il loro posto nell'esercito del delitto. L'amicizia è anch'essa una condizione favorevole allo svolgersi di una suggestione criminosa, nel caso in cui uno degli amici sia un perverso e l'altro, psicologicamente, un debole[21].
Una patologia di coppia, non necessariamente criminale, chiamata folie à deux (letteralmente “follia a due”), è un fenomeno descritto per la prima volta da Lasegue e Falret nel 1877[22]. In termini medici, la folie à deux è chiamata disturbo psicotico condiviso[23] o sindrome delirante indotta[24]. Tale patologia “a due” nasce quando un soggetto inizia a manifestare una psicosi causata dalla relazione con un altro soggetto che è già affetto dalla stessa patologia psichiatrica. In sostanza, è una sorta di “contagio” di tipo psichiatrico causato dal semplice fatto che i due soggetti sono in una relazione caratterizzata da un lungo vissuto insieme. Spesso tale vissuto è connotato da una buona dose di isolamento sociale. Nella follia a due, la psicosi consta generalmente in un disturbo delirante di tipo persecutorio in cui le convinzioni del primo, il soggetto che ne era già affetto, chiamato induttore o caso primario, vengono condivise con l’altro, integralmente o solo in parte. Chi viene contagiato non è detto debba necessariamente essere predisposto a sviluppare patologie psichiatriche né che debba esserne già affetto, quindi può essere un soggetto del tutto sano. Tuttavia, la fragilità psicologica di chi subisce l’influenza dell’induttore è un fattore determinante per l’insorgere del disturbo. Se la relazione con il caso primario viene interrotta, le convinzioni deliranti di chi ha subito l’influenza del caso primario cessano (Caponnetto et al., 2013).

2.3. Le perizie psichiatriche
I giudici che si sono occupati della strage di Erba, con diverse argomentazioni hanno sempre rigettato l’istanza di una perizia psichiatrica. La prima volta perché il perito aveva operato la sua analisi unicamente su fonti documentali senza mai aver incontrato gli imputati. Mentre, nel ricorso in Cassazione, quest’ultima ha sentenziato che non “può essere la sola efferatezza del delitto a suggerire la necessità di una perizia per valutare l’imputabilità, poiché non esiste alcun binomio automatico tra ferocità dell’aggressione e malattia mentale.  Al contrario, si deve dar rilievo ai comportamenti tenuti prima e dopo il fatto dagli imputati che, dimostrando un forte controllo di sé e agendo per costruirsi un alibi, possono essere ritenuti espressivi di un ‘non interrotto contatto con la realtà’”[25].
Nel quadro delle valutazioni di tipo psicologico e psichiatrico, è innanzitutto da evidenziare quanto affermato dalla psicologa del carcere di Como che ha seguito Olindo e Rosa durante la custodia cautelare. Olindo Romano raccontò alla dottoressa Graziella Mercanti di aver fatto un patto comune di suicidio con la moglie perché non riuscivano a contemplare una vita separata. Nella sua deposizione, la Mercanti disse quanto segue: «L'impossibilità di stare insieme era per loro annichilente tanto che Olindo ripeteva che, se non avesse potuto scontare la pena con la moglie, l'avrebbe fatta finita, smettendo di alimentarsi… se anche dovessi uscire dal carcere - ripeteva l'imputato - non ce la farei senza di lei». «E anche Rosa - ha aggiunto la dottoressa - parlava di suicidio e ripeteva di continuo che la sua esistenza era finita». La seconda più interessante deposizione è stata quella della psichiatra Nunzia Chieppa, assunta dalla difesa dei Romano, la quale ha spiegato che «è evidente che siamo di fronte a una patologia di coppia che rientra nei casi di schizofrenia paranoide. I due vivevano e vivono in una sorta di bolla e si sentono perseguitati dal mondo esterno, con cui non vogliono entrare in contatto. In più la vita di coppia di Rosa e Olindo non è strutturata su un rapporto di parità come lo intendiamo tra adulti, ma, al contrario, Rosa è una bimba che, col suo atteggiamento, condiziona le azioni di Olindo, una sorta di marito-padre. Per dirla alla francese, siamo in presenza di una folie à deux, una follia a due»[26].
Poi è stata la volta del professor Filippo Borgetto e del suo team (con Borgetto in tutto tre psichiatri) i quali, nella loro relazione, hanno affermato che Rosa Bazzi e Olindo Romano erano affetti da un disturbo delirante, una psicosi cronica che si sviluppa gradualmente e decorre per lungo tempo. Una patologia caratterizzata da idee deliranti ben organizzate, di persecuzione e rivendicazione. Infatti, “all’origine della strage vi potrebbe essere un’ideazione delirante che si costruisce, si stabilizza e si consolida in condizioni di isolamento sociale e che può portare a comportamenti violenti causati da fattori scatenanti. La pianificazione degli omicidi sarebbe dovuta ad una fortissima dipendenza reciproca tra i coniugi connotata in modo evidente dalla forte dipendenza di Olindo dalla moglie. Sussisterebbe, quindi, uno squilibrio psichico in relazione al quale effettuare approfondimenti. La confessione prodotta da Olindo e Rosa durante gli interrogatori, denuncerebbe inoltre una straordinaria freddezza, un distacco, una mancanza di risonanza emotiva e di coinvolgimento affettivo”[27].

2.4. Focus su psicosi, disturbo delirante e schizofrenia paranoide
Nei due paragrafi precedenti si è argomentato in relazione al possibile quadro patologico di Rosa Bazzi e Olindo Romano. I due, a quanto risulta dalle perizie effettuate dalla difesa, sembrerebbero affetti da disturbo psicotico condiviso (“folie à deux”) in cui Rosa Bazzi risulterebbe l’induttore (caso primario) e Olindo Romano il “contagiato”. Ora, però, risulta necessario, ai fini di una migliore e più comprensibile esposizione del presente lavoro, chiarire il significato e la portata dei disturbi citati nel caso della trattazione della folie à deux e dai periti di parte dei Romano, precisando che, nel campo della psichiatria, spesso non si trovano linee nette di pensiero circa le caratteristiche di disturbi e malattie mentali.
“Psicosi” è un termine generico con cui ci si riferisce ad una serie di disturbi psichiatrici caratterizzati da una grave alterazione dell’equilibrio psichico. Chi ne è affetto non ha una corretta visione della realtà, non riesce spesso ad avere cognizione della propria patologia e ha di frequente disturbi del pensiero quali deliri e/o allucinazioni. Esistono differenti tipi di disturbi psicotici tra i quali troviamo i disturbi di contenuto del pensiero. Tra questi, vi è il “disturbo delirante”.
Il disturbo delirante è, appunto, caratterizzato da deliri cioè falsi convincimenti. Per avere una diagnosi di disturbo delirante, i sintomi devono essere presenti per almeno un mese senza altri sintomi tipici della schizofrenia. Infatti, qualora fossero riscontrati sintomi di schizofrenia, il paziente sarebbe affetto da quest’ultima patologia. I deliri possono essere:
  • “non bizzarri”, cioè riguardanti situazioni come la sensazione o il timore di essere seguiti, avvelenati, infettati, amati a distanza o essere ingannati o traditi dal proprio partner;
  • “bizzarri”, cioè concernenti situazioni assai improbabili come credere di essere stati vittima di una asportazione di organi interni senza avere cicatrici da sutura.
Il disturbo delirante non è molto diffuso e insorge generalmente in media o tarda età. Il funzionamento dal punto di vista psicosociale non viene compromesso e i problemi, normalmente, sono connessi unicamente alle convinzioni deliranti[28]. È da evidenziare che non vi sono pareri unanimi in tal senso. Infatti, diversi autori sostengono che i soggetti davvero affetti da un disturbo delirante, non hanno una vita normale sotto il profilo psicosociale.
Nel suo intervento quale consulente di parte della difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, la psichiatra Nunzia Chieppa afferma la presenza di una “schizofrenia paranoide”. La schizofrenia è una psicosi caratterizzata da perdita del contatto con la realtà e una serie di manifestazioni come allucinazioni, deliri, linguaggio e comportamento disorganizzati, appiattimento dell'affettività, deficit cognitivi e malfunzionamento occupazionale e sociale. La causa è sconosciuta, ma vi è una forte evidenza di una componente genetica. I sintomi di solito esordiscono nell'adolescenza o nella prima età adulta. Uno o più episodi sintomatici devono persistere almeno sei mesi prima che venga formulata la diagnosi. Il trattamento consiste nella terapia farmacologica, nella psicoterapia e nella riabilitazione[29]. La schizofrenia paranoide è la tipologia più comune di schizofrenia[30]. Il quadro clinico è caratterizzato da deliri relativamente stabili di tipo persecutorio solitamente accompagnati da allucinazioni soprattutto di natura uditiva (sentire le voci) e disturbi della percezione[31]. I sintomi della schizofrenia paranoide hanno un effetto assai negativo sulla qualità della vita e la malattia non è reversibile benché si possano ottenere buoni risultati con un idoneo trattamento farmacologico[32].


3. Analisi neurosociologica degli autori e della criminodinamica della strage

3.1 Follia a due: l’incastro perfetto
La folie à deux appare la spiegazione più plausibile del comportamento dei coniugi Romano, non solo nel merito di quanto è accaduto la sera dell’11 dicembre 2006 ma in relazione a tutto il loro vissuto insieme. Prendendo come riferimento le storie di vita di Rosa e Olindo, prima e dopo l’inizio della loro relazione sentimentale, unitamente al profilo psicologico-psichiatrico tracciato dagli esperti, i due sembrano incarnare alla perfezione i due elementi “tipici” di una relazione patologica destinata a sfociare in un disturbo psicotico condiviso. Rosa è una donna dal carattere forte, una maniaca dell’ordine e della pulizia, un “carrarmato” come l’hanno definita i vicini. È altresì una persona fortemente intollerante, soprattutto se si tratta del suo “fortino”, la sua casa, e delle sue cose come il camper. Infatti, le modalità di relazionarsi socialmente con gli altri mutano grandemente a seconda che il suo ambiente di vita sia potenzialmente in pericolo o meno: nella corte dove abita la conoscono tutti come una persona assai sgradevole, molto poco incline ai rapporti interpersonali e sempre pronta a rimproverare tutti. L’“Isterichina” l’avevano soprannominata. Sul posto di lavoro, invece, è una persona gentile, gradevole e disponibile. La parlantina da “macchinetta” è, poi, un’altra sua caratteristica, sia nel bene che nel male. Anche dal suo vissuto nella famiglia d’origine emergono delle particolarità. Innanzitutto, arriva a conseguire solo la licenza elementare. Questo è un dato importante perché parliamo di una donna nata nel 1963, quindi in data successiva alla riforma scolastica che ha portato l’obbligo di istruzione a 14 anni[33]. Risulta chiaro che Rosa abbia avuto dei genitori tutt’altro che responsabili nel crescere i propri figli ma anche noncuranti della legge. Rosa se la ricordano tutti come una che parlava moltissimo con tutti ma che racconta un sacco di bugie. Di norma, i bambini raccontano tutti delle bugie, fa parte della crescita, ma se Rosa viene ricordata da chi la conosceva per questa caratteristica, potrebbe essere che la menzogna, per lei, non fosse una semplice modalità infantile di sperimentarsi. I bulli, poi, non sono mai stati un problema: ha sempre saputo come metterli al “loro posto”, chissà come. Quando Rosa si sposa con Olindo, di lei la madre dice: «Ha sposato un poco di buono, perché anche lei era così, una persona piena di veleno» (Corrias, 2007). Gli elementi che scaturiscono da queste narrazioni sull’infanzia e l’adolescenza di Rosa Bazzi, lasciano intravedere un ambiente sociale primario assai critico nonché una personalità molto particolare fin dall’infanzia.
Olindo, invece, è un omone di un metro e sessantasei per cento chili di peso cresciuto con il complesso di essere figlio di persone non sposate. Infatti, come si è detto in precedenza, quando lui nacque i suoi non erano ancora uniti in matrimonio. È descritto dai suoi colleghi (ormai “ex”) di lavoro come un uomo riservato ma anche capace di scherzare, un “bonaccione”. Nel suo ambiente sociale d’origine, con la sua famiglia e con i suoi conoscenti, cambia quando conosce Rosa: da “ragazzo della piazza” a cui piace giocare a pallone davanti alla chiesa del paese, si chiude nella morbosa relazione con la moglie e inizia a rivendicare ciò che reputa suo di diritto, una parte della casa familiare, fino ad arrivare alle mani con i suoi fratelli. Dopo quell’episodio, “taglia i ponti” con la sua famiglia. Appare come uno che ha vissuto da represso nelle emozioni e nelle aspirazioni. La parola d’ordine che ha sentito sempre riecheggiare nelle sue orecchie è “sgobbare”. Primogenito cresciuto senza la presenza paterna, in quanto il padre faceva ritorno a casa solo la domenica a causa del lavoro, Olindo ha probabilmente trovato in Rosa la sua occasione di riscatto sociale. Rosa Bazzi, l’induttore, una persona dal carattere forte e con apparenti qualità di donna e madre perfetta capace, allo stesso tempo, di far sentire Olindo, il “debole”, il “contagiato”, importante come uomo, marito e potenziale padre dei propri figli. In realtà, come ha stabilito una delle perizie psichiatriche, l’ipotesi che Olindo abbia assunto il ruolo di “padre-marito” pronto a soddisfare i bisogni e le pretese della “moglie-bambina” Rosa, sembra avere parecchia sostanza.

3.2. Cervelli connessi
Dopo aver trattato della predisposizione psicosociale di una coppia in relazione all’insorgere di un disturbo psicotico condiviso, risulta necessario argomentare su come si innesca la relazione e su quali basi si fonda la dipendenza nella relazione patologica. Su questo fronte, le scoperte neuroscientifiche degli ultimi trent’anni e la visione neurosociologica dei processi di socializzazione possono fornire interessanti e plausibili ipotesi. La neurosociologia è la disciplina che studia le interazioni umane e la socializzazione in rapporto alle strutture e alle funzioni del sistema nervoso. Essa utilizza strumenti di analisi ed intervento sociologici supportati dalle conoscenze neuroscientifiche (Blanco, 2015). Grazie ai loro imponenti progressi, derivanti da nuove tecniche e tecnologie di indagine del cervello umano, a partire dagli anni Ottanta del XX secolo la neuroscienza ha iniziato a rispondere ai primi quesiti riguardanti le relazioni sociali, facendo emergere nuove branche delle scienze umane e sociali chiamate “neuroscienze sociali” o “neuroscienze delle relazioni umane”. Alla base di queste discipline vi è il concetto che il cervello è “progettato” per essere sociale. Non è più utile studiare unicamente il singolo individuo con le proprie caratteristiche, ma è assolutamente necessario osservare l’essere umano all’interno del suo ambiente sociale.
Con l’espressione “cervello sociale” si intende la nostra capacità di connetterci in modo automatico ed inconscio con il cervello di altre persone ogni volta che interagiamo con esse, anche solo per un istante. Questo avviene perché possediamo delle strutture nervose il cui compito è quello di garantire le interazioni con l’“altro diverso da noi” e l’instaurarsi di relazioni sociali che sono l’”arma” di sopravvivenza più importante per la nostra specie (Blanco, 2016).
Nello specifico, nel nostro cervello è presente una speciale classe di neuroni chiamati neuroni specchio che sono stati scoperti per la prima volta alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso dal Prof. Giacomo Rizzolatti e dalla sua equipe di ricercatori[34] all’Università di Parma. I neuroni specchio sono speciali neuroni che sono al contempo neuroni motori e neuroni sensoriali. Quando si attivano trasmettono i loro impulsi alla corteccia motoria[35] e, principalmente, codificano insieme percezione e azione. Si attivano quando compiamo un atto motorio finalizzato, cioè avente uno scopo, e allo stesso modo quando osserviamo un altro soggetto eseguire il medesimo atto. I primi esperimenti fatti sulle scimmie, prevedevano esercizi di afferramento, prensione, manipolazione e spostamento di oggetti. I risultati furono che il 20% dei neuroni di F5[36] si attivava sia quando la scimmia eseguiva determinati atti motori, sia quando osservava gli sperimentatori eseguire i medesimi atti motori. Pertanto, i neuroni specchio rispondevano anche ad azioni osservate, purché avessero un significato per la scimmia. La differenza con l’uomo risiede nel fatto che questi particolari neuroni, nell’uomo, si attivano anche quando l’atto motorio non è finalizzato.
Dopo numerose critiche, Marco Iacoboni e la sua equipe ripresero gli studi sui mirror in modo più approfondito. Analizzando ventuno malati volontari affetti da grave epilessia, assodarono definitivamente le proprietà dei neuroni specchio già osservate da Rizzolatti e colleghi nelle scimmie.
In sostanza, i neuroni specchio ci consentono di comprendere le azioni altrui ma anche di anticiparle. Ad esempio, quando osserviamo una persona prendere un bicchiere per portarlo alla bocca, nel nostro cervello si attivano gli stessi neuroni motori che si attiverebbero se l’atto di prendere il bicchiere per portarlo alla bocca lo stessimo compiendo noi stessi. In pratica, da un punto di vista esperienziale, noi effettuiamo degli atti motori anche quando vediamo qualcun altro eseguirli. Facciamo esperienza compiendo degli atti motori finalizzati e facciamo esperienza osservando gli altri compiere atti motori facenti parte del nostro repertorio motorio. Inoltre, i neuroni specchio si attivano anche per atti motori finalizzati che vengono uditi. Ad esempio, se sentiamo aprire una lattina di una bibita in una stanza accanto alla nostra dove non vediamo l’esecutore di quell’atto motorio, i nostri neuroni specchio si attivano come se l’atto lo stessimo compiendo noi stessi. Con i medesimi meccanismi, in noi viene simulato lo stato d’animo di una persona che non vediamo ma che sentiamo ridere, piangere o urlare dal dolore (Blanco, 2015). I neuroni specchio hanno un ruolo fondamentale anche nell’apprendimento, in quanto la base di quest’ultimo è di natura motoria. Inoltre, la scoperta dei neuroni specchio ha confermato le osservazioni compiute negli anni Settanta del secolo scorso dallo psicologo Meltzoff il quale studiò il comportamento imitativo di un bambino nato da soli quarantuno minuti. Per tutta la durata della nostra vita noi esseri umani imitiamo i nostri simili e ci rispecchiamo in essi. Le esperienze sociali sono la fonte del nostro saper vivere in tutti i sensi, dagli atti motori sino ad arrivare alla manifestazione delle emozioni. Come gli atti motori vengono riprodotti a livello esperienziale nel nostro cervello, allo stesso modo le emozioni di chi stiamo osservando hanno in noi il medesimo effetto. Io osservo il volto di una persona e le sue emozioni risuonano in me, perché mi rispecchio in essa. Questo il motivo per cui se un soggetto osserva un altro soggetto triste, i neuroni specchio relativi ai muscoli del volto dell’osservatore si attivano come quando egli stesso prova un sentimento di tristezza. Pertanto, i neuroni specchio ci permettono di sperimentare dentro di noi le emozioni provate da un nostro simile e condividere con lui la sua esperienza interiore (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006). In sostanza, i neuroni specchio sono la base neurale dell’empatia.
L’empatia è la capacità di un individuo di immedesimarsi nell’altro, sia persona reale che immaginaria, come ad esempio il personaggio di un film. Il significato etimologico del termine empatia è "sentire dentro". Grazie ad essa, infatti, possiamo relazionarci e condividere le stesse emozioni del nostro interlocutore semplicemente osservandolo o ascoltandolo. Sicuramente il senso che ha maggior rilievo è la vista ma, per esempio, possiamo entrare in empatia con un altro soggetto anche attraverso l’udito, tramite l’intensità, l’intonazione ed il ritmo del parlato. Ricordiamoci che, come detto in precedenza, il cervello è stato “progettato” per essere sociale. Ogni volta che due o più persone interagiscono, anche solo per qualche istante, connettono i loro cervelli. È impossibile non entrare in empatia con gli altri. Addirittura, se le interazioni sono frequenti e si realizza una vera e propria relazione sociale, si innescano deimeccanismi automatici di simulazione incarnata. Con simulazione incarnata si intende la capacità di riconoscere in coloro che osserviamo un qualcosa in cui ci immedesimiamo e di cui ci appropriamo tanto da farlo nostro. Alla base non vi è alcun ragionamento, ma una comprensione diretta che viene dall’interno (Blanco, 2018).


Conclusioni
La criminodinamica della Strage di Erba richiama più le gesta di un “commando militare” piuttosto che l’azione di due normali coniugi dalla vita altrettanto normale. Tanto è vero che questo è proprio uno tra gli elementi su cui si sono basati diversi esperti che hanno ricostruito l’accaduto e che hanno tentato di scagionare i coniugi Romano. Secondo la ricostruzione dell’accusa, alle 19.50 Olindo e Rosa sono pronti ad entrare in azione e già alle 20.20 l’incendio divampa. Ragionevolmente, quindi, la strage si è consumata nell’arco di una manciata di minuti. Troppo pochi per le capacità psicofisiche di un netturbino e una donna delle pulizie che, chiaramente, non hanno alcun addestramento alle spalle? Rosa sale al primo piano, Raffaella le apre la porta. Olindo si avventa con una spranga contro Raffaella fracassandole il cranio. Subito dopo Rosa le sferra numerose coltellate, mentre Olindo ha già colpito con la stessa modalità la madre di Raffaella, Paola Galli. Nel contempo Rosa è già in camera dove si trova il piccolo Youssef. Lo afferra mentre il bambino cerca di difendersi e lo sgozza. Tutto nella penombra, tutto senza destare particolare allarme nella palazzina di via Diaz. Mentre il fumo si sparge nel condominio, Rosa e Olindo attendono di sapere di chi siano quei passi che sentono fuori dall’appartamento Castagna. Olindo apre di scatto la porta e getta a terra Mario Frigerio, buttandoglisi subito dopo sopra e sgozzandolo. Le ultime urla di Valeria Cherubini in vita richiamano l’attenzione dei due mostri che, in modo fulmineo, salgono al secondo piano uccidendo a coltellate anche la povera donna e il suo cane. Immediatamente dopo i due assassini riescono a recarsi nel proprio garage senza essere visti, si lavano, si cambiano, occultano le armi e partono in direzione Como. Quindi, troppo poco tempo? Forse sì, ma in base a ciò che si è argomentato sino ad ora risulta probabile il contrario. Infatti, i cervelli di Rosa e Olindo erano connessi, fusi, un solo pensare e agire. Olindo e Rosa “abitavano” l’uno nella mente dell’altro. Nelle coppie criminali, in particolare questa coppia, i meccanismi di simulazione incarnata vengono esasperati fino a trasformarsi in un rapporto simbiotico caratterizzato da un’ossessività che esclude tutto il resto del mondo. Tutti gli altri sono invasivi e prepotenti, un nemico da combattere. Olindo è il tipico carattere vicariale, il secondo della relazione, un perdente, tanto è che lui si è reso conto fin da subito del massacro che stavano compiendo. Rosa, invece, no. Ciò conferma che era Rosa la “burattinaia” nella coppia. Durante il processo, entrambi seduti dietro le sbarre, chiacchierano, ridono, si abbracciano teneramente. Sembrano totalmente inconsapevoli di ciò che li aspetta.
La totale dipendenza dall’altro è sempre patologica, ma l’amore non è dipendere. Rosa e Olindo sono una coppia a cui non interessa il resto del mondo, né le persone, né il lavoro, né i beni materiali, perché l’importante è solo ed unicamente stare insieme. Anche in carcere.

Dott. Massimo Blanco
Dott.ssa Micol Trombetta
Riproduzione riservata

Bibliografia
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Sitografia
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  • Il Giorno, Morto Mario Frigerio: fu l'unico sopravvissuto alla Strage di Erba, articolo di Roberto Canali del 16 settembre 2014 (https://www.ilgiorno.it/como/cronaca/morto-mario-frigerio-1.215907).
  • La Repubblica.it, Olindo e Rosi, sposi semplici con la passione del camper, articolo di Enrico Bonerandi del 9 gennaio 2007 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/01/09/olindo-rosi-sposi-semplici-con-la-passione.html).
  • La Repubblica.it, "Ho preso il bambino e gli ho tagliato la gola", articolo di Bonerandi E., Randacio E. su “La Repubblica.it” del 12 gennaio 2007 (http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/cronaca/erba-2/racconto-bazzi/racconto-bazzi.html).
  • La Repubblica.it, Olindo e Rosa soffrono di psicosi cronica, articolo del 16 marzo 2010 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/03/16/olindo-rosa-soffrono-di-psicosi-cronica.html).
  • La Repubbica.it, Olindo e Rosa: otto anni dopo, il grande mistero dei mostri perfetti, articolo di Carlo Verdelli del 16 settembre 2014 (http://www.repubblica.it/cronaca/2014/09/16/news/olindo_e_rosa_otto_anni_dopo_il_grande_mistero_dei_mostri_perfetti-95902690/?refresh_ce).
  • La Repubblica.it, Strage di Erba, respinto incidente probatorio: "Le nuove analisi non sono in grado di ribaltare sentenza", articolo del 30 gennaio 2018 (http://milano.repubblica.it/cronaca/2018/01/30/news/strage_di_erba_respinto_incidente_probatorio_le_nuove_analisi_non_sono_in_grado_di_ribaltare_sentenza_-187642592/).
  • Linea Gialla - Tra i casi: Roberta Ragusa, la strage di Erba e storie di femminicidio (15/10/2013), (https://www.youtube.com/watch?v=pN7Zc8tWOhc)
  • Manuale MSD versione per professionisti, sez. disturbi psichiatrici, disturbo delirante, S. Charles Schulz, MD, Professor Emeritus, University of Minnesota Medical School; Psychiatrist, Prairie Care Medical Group, Merck Sharp & Dohme Corp., 2018 (https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/schizofrenia-e-disturbi-correlati/disturbo-delirante).
  • Manuale MSD versione per professionisti, sez. disturbi psichiatrici, schizofrenia, S. Charles Schulz, MD, Professor Emeritus, University of Minnesota Medical School; Psychiatrist, Prairie Care Medical Group, Merck Sharp & Dohme Corp., 2018 (https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/schizofrenia-e-disturbi-correlati/schizofrenia).
  • Mayo Foundation for Medical Education and Research (2013), Paranoid Schizophrenia, Mayo Clinic. Retrieved from "Archived copy". Archived from the original on June 18, 2013. Retrieved December 23, 2013 (https://web.archive.org/web/20130618045057/http://www.mayoclinic.com/health/paranoid-schizophrenia/DS00862/DSECTION%3Dsymptoms).

Note
[1] La Repubbica.it, "Ho preso il bambino e gli ho tagliato la gola", articolo di Enrico Bonerandi e Emilio Randacio del 12 gennaio 2007.
[2] Affaritaliani.it, Strage di Erba/ Rosa Bazzi: "Ho ucciso Raffaella perché mi faceva paura", articolo del 16 gennaio 2007.
[3] Ad oggi, non è ancora chiaro chi abbia staccato la corrente, se Olindo o Rosa.
[4] L’udienza si sarebbe dovuta tenere il 13 gennaio 2007.
[5] In realtà, non è mai emersa la verità sull’oggetto contundente metallico usato dal Romano. I coniugi han sempre parlato, infatti, di una stanga di ferro che sarebbe dovuta servire per attività di giardinaggio.
[6] Corriere della Sera, La confessione: «Senza quelli si vive meglio», articolo di Giusi Fasano del 12 gennaio 2007.
[7] La Repubbica.it, Olindo e Rosa: otto anni dopo, il grande mistero dei mostri perfetti,articolo di Carlo Verdelli del 16 settembre 2014.
[8] La ricostruzione segue quella delineata a livello processuale. Le contraddizioni che hanno caratterizzato tutte le fasi giudiziarie che hanno tentato di arrivare ad una sola verità, sono tutt’ora molte.
[9] Intercettazione ambientale effettuata dai Carabinieri in data 10 gennaio 2007.
[10] La Bazzi cambierà la sua versione dopo poco tempo.
[11] Corriere della Sera.it, Strage di Erba, l'ordinanza del gip, articolo del 7 febbraio 2007.
[12] Pagliari P. (2015), «Non siamo stati noi». La strage di Erba dalla parte di Rosa e Olindo, Youcanprint, pp. 248-256.
[13] Contrariamente alle notizie divulgate dai media, Mario Frigerio, prima di fare il nome di Olindo Romano, fece per ben tre volte la descrizione di un altro aggressore completamente diverso dal netturbino di Erba (Panza S., 2011).
[14] Il Giorno, Morto Mario Frigerio: fu l'unico sopravvissuto alla Strage di Erba, articolo di Roberto Canali del 16 settembre 2014.
[15] La Repubblica.it, Strage di Erba, respinto incidente probatorio: "Le nuove analisi non sono in grado di ribaltare sentenza", articolo del 30 gennaio 2018.
[16] Corriere.it, Casa, manie e rancori. Il mondo buio di Rosa, articolo di Marco Imarisio del 12 gennaio 2007.
[17] La Repubblica.it, Olindo e Rosi, sposi semplici con la passione del camper, articolo di Enrico Bonerandi del 9 gennaio 2007.
[18] Linea Gialla - Tra i casi: Roberta Ragusa, la strage di Erba e storie di femminicidio (15/10/2013).
[19] Scipio Sighele fu allievo di Enrico Ferri (1856-1929), fondatore della scuola positivista, considerato uno dei maggiori esponenti della criminologia del secolo scorso.
[20] La prima edizione risale al 1892.
[21] Sighele S., La coppia criminale: psicologia degli amori morbosi, Bocca, Torino, 1892, p. 15.
[22] Lasegue C., Falret J. 1877, La folie a` deux (ou folie communiquée), Annales Medico-Psychologiques, vol. 18, 1877, pp. 321-355.
[23] DSM IV-TR, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition.
[24] ICD-10, Classification of Mental and Behavioral Disorders: clinical descriptions and diagnostic guidelines
[25] Cass., sez. I, 3.5.2011 (dep. 5.9.2011), n. 33070, Pres. Chieffi, Est.Caprioglio, ric. Romano.
[26] Il Giornale.it, Una perizia psichica per Olindo e Rosa «Meglio il suicidio che vivere separati», articolo di Gabriele Villa del 27 marzo 2008.
[27] La Repubblica.it, Olindo e Rosa soffrono di psicosi cronica, articolo del 16 marzo 2010.
[28] Manuale MSD versione per professionisti, sez. disturbi psichiatrici, disturbo delirante, S. Charles Schulz, MD, Professor Emeritus, University of Minnesota Medical School; Psychiatrist, Prairie Care Medical Group, Merck Sharp & Dohme Corp., 2018.
[29] Manuale MSD versione per professionisti, sez. disturbi psichiatrici, schizofrenia, S. Charles Schulz, MD, Professor Emeritus, University of Minnesota Medical School; Psychiatrist, Prairie Care Medical Group, Merck Sharp & Dohme Corp., 2018.
[30] Varcarolis E. (2006), Manual of Psychiatric Nursing Care Plans 3° Ed., Saunders, Philadelphia, 2006.
[31] Funzione psicologica che interpreta i dati sensoriali al fine di conferire a questi una configurazione dotata di significato. Da non confondere con la “sensazione” che, invece, è la consapevolezza mentale di una risposta di organi di senso a stimoli come il calore, il suono, le radiazioni luminose.
[32] Mayo Foundation for Medical Education and Research (2013), Paranoid Schizophrenia, Mayo Clinic.
[33] Legge 31 dicembre 1962, n. 1859.
[34] L’equipe di Parma, in quel periodo, era composta da Rizzolatti, Gallese, Fogassi, Fadiga e di Pellegrino.
[35] Area della corteccia cerebrale che attiva i muscoli.
[36] L’area 6 di Brodmann è suddivisa in due aree situate nella porzione inferiore della corteccia premotoria: F4 e F5. La lettera “F” sta per “frontale”.



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